Dal recente episodio del podcast HFactor.Essere umani nelle organizzazioni, Pietro Antolini, esperto di self-management e organizzazione aziendale, ha citato un concetto interessante, “il paradosso del potere”.
L’idea è antica e andrebbe esplorata a fondo. Cito solo alcuni spunti interessanti, a mio avviso, sull’argomento per poi arrivare a una visione un po’ diversa, che mette in discussione e ribalta la prospettiva del potere stesso.
Il potere come elemento “instabile”: Bertrand Russell
Bertrand Russell nel suo libro Power: A New Social Analysis (1938) parlò del paradosso insito nell’idea di potere, definendolo come un elemento “instabile” che può facilmente portare a effetti contrari alle intenzioni di chi lo esercita. Coloro che acquisiscono potere possono perderlo, attraverso il suo stesso esercizio.
Una delle sue intuizioni fu che, quando una persona o un gruppo ottiene il potere, tende a sviluppare una visione più egoistica e meno empatica nei confronti degli altri, perdendo la capacità di mantenere relazioni cooperative e di sviluppare una visione della realtà più equilibrata. Di fatto, più potere una persona ha, più è probabile che commetta errori che lo minacciano. Da qui la sua visione del potere come una “forza corrosiva”, capace di compromettere l’integrità morale di chi lo detiene, inducendolo a prendere decisioni per interessi personali, piuttosto che per il bene comune.
Il ciclo del potere: Dacher Keltner
Facendo un salto temporale, troviamo studi più recenti sul tema. Dacher Keltner, psicologo sociale e professore presso l’Università della California, Berkeley, ha approfondito il fenomeno e lo ha spiegato attraverso un ciclo ricorrente nel suo testo The Power Paradox: How We Gain and Lose Influence (2016).
- Le persone ottengono potere grazie a qualità come l’empatia, la generosità e la collaborazione. Coloro che dimostrano capacità di connettersi con gli altri e di influenzare in modo positivo tendono a salire ai vertici.
- Una volta ottenuto il potere, le persone spesso cambiano comportamento, diventando più egoiste, impulsive e meno attente ai bisogni degli altri.
- Questo cambiamento porta spesso alla perdita del potere, poiché le persone che prima li sostenevano iniziano a respingerli a causa del loro atteggiamento arrogante e distante.
Questa dinamica costituisce il “paradosso del potere”: le stesse qualità che permettono alle persone di ottenerlo, tendono a svanire una volta che lo hanno raggiunto, portando infine alla loro caduta.
Il paradosso del potere nelle organizzazioni
Guardando alle #organizzazioni, possiamo osservare lo stesso fenomeno. Leader e manager acquisiscono “potere” grazie alle loro qualità relazionali, oggi sempre più importanti: l’empatia, l’influenza, l’ascolto, il coinvolgimento. Queste sono le qualità spesso ricercate nelle persone per farle crescere all’interno delle strutture aziendali. Tuttavia, accade spesso che, una volta ottenuto il potere, queste qualità si affievoliscano.
Inoltre, c’è un altro fenomeno interessante che definirei “tecnopotere”:
- Alcune persone ottengono ruoli di #leadership grazie alle loro competenze tecniche (processi, tecnologia, innovazione).
- Tuttavia, non sempre sviluppano le capacità relazionali necessarie per gestire efficacemente persone e dinamiche di gruppo.
Il risultato? Ai vertici aziendali troviamo leader che devono rincorrere proprio quelle qualità relazionali che si sono perse o che non hanno mai sviluppato.
E ci chiediamo, è possibile perderle? E’ possibile acquisirle?
Secondo gli autori citati precedentemente è possibile perderle eccome, e qualche esperienza personale, che sicuramente non fa statistica, me lo conferma.
O meglio, è possibile metterle da parte, per paura di perdere ciò che si ha acquisito e difendere la propria posizione; per gratificare il proprio ego, e, pertanto, come ci dice Russell, perseguire lo scopo personale più che quello di gruppo.
Sul fatto che sia possibile acquisirle, naturalmente penso che la risposta sia sì. Il punto è che bisogna desiderarle per poterle mantenere o sviluppare; serve una maturità interiore e un presupposto collettivo prima che personale. Questo è il fondamento del gruppo. Lavorare per uno scopo comune e per raggiungere un risultato che sia espressione di tutti.
Dalla logica del potere alla logica della potenza
Ecco che arriviamo a una nuova prospettiva. Se non fosse il “potere” il vero tema, ma la “potenza” del sistema?
Questa visione è quella della #Natura nei suoi ecosistemi, ed è quella a cui si ispira il #selfmanagement e l’organizzazione #teal.
In un ecosistema potremmo essere portati a osservare delle dinamiche di potere tra esseri viventi in cima alla catena alimentare e quelli ai piani più bassi. Questa è una lente tipicamente umana.
In realtà nell’ecosistema il potere è diffuso.
L’animale predatore, forte della sua potenza più che del suo potere, è sottoposto alle leggi della Natura: se gli erbivori scarseggiano, perché migrano verso aree più riparate o impervie, faticherà a trovare cibo, dovrà anch’esso cambiare area, cercare altre fonti di cibo; la popolazione diminuirà e il “sistema” ritroverà il suo equilibrio.
E’ qui, dunque, che possiamo vedere che il “potere” è nel sistema e non nei singoli elementi. Un sistema saggio, il cui obiettivo è il bene comune, il benessere collettivo. Questa è la Natura.
Le organizzazioni possono ispirarsi a questo modello?
Certamente. Un’azienda può funzionare in modo più sano quando il potere non è accentrato, ma diffuso in un sistema che:
✅ Dà visibilità al contributo di ciascuno tramite pratiche collaborative
✅ Rende la comunicazione chiara, intenzionale e trasparente
✅ Aumenta la produttività creando un ambiente positivo e basato sulla fiducia
Di queste dinamiche parliamo spesso nel podcast HFactor, esplorando modelli di self-management e organizzazioni Teal, ispirate proprio agli ecosistemi naturali. (Ti invito ad ascoltarlo qui!)
Come già raccontato nell’articolo Il #Management ispirato alla #foresta. Ecco perché è vincente auspico che il lavoro di diffusione di approcci più umani e sostenibili porti buoni frutti e che una visione ecocentrica prenda il sopravvento nelle nostre organizzazioni.
Per poter parlare di “potenza” del sistema collettivo e non più di potere del singolo.