5 passi per lo sviluppo personale in azienda. Una strada possibile per persone e organizzazioni.

5 passi per lo sviluppo personale in azienda. Una strada possibile per persone e organizzazioni.

Se voglio #comunicare in modo più efficace ho bisogno di conoscere la teorie e le tecniche di #comunicazione efficace. Detto ciò una volta assimilate, è fatta!  E invece cosa accade? Ho imparato, ho applicato, ma nulla…l’effetto non si vede. 

Il punto è che se non lavoro prima sulla complessa dinamica emozioni-pensieri-azioni che sta alla base dei comportamenti (tra i quali appunto la comunicazione) posso conoscere e provare tutte le tecniche possibili, ma mai sarò davvero efficace e incisivo. Questo perchè  siamo molto più che superficie e puro comportamento e questo “iceberg” che sta sotto a ciò che mostriamo agli altri ha un peso enorme. 

E’ su questo “iceberg” che abbiamo bisogno di lavorare e investire tutte le nostre energie se vogliamo far sbocciare appieno il nostro potenziale. 

Le persone evolvono quando vanno a incidere sul proprio sistema di valori, credenze e automatismi comportamentali e lo fanno con tutti gli stumenti possibili, in primis la propria quotidianità e le esperienze che vivono. 

La notizia è che incidere su questi aspetti è possibile, faticoso, sfidante e possibile, smentendo ogni dubbio che possiamo avere. Le moderne teorie sulle neuroscienze (Edward L. Bennett, Marian C. Diamond, David Krech, Mark R. Rosenzweig) e sull’apprendimento in età adulta  (Robert Keagan, The evolving self) ) oggi sostengono con forza la possibilità dell’essere umano di continuare a evolvere nel tempo a livello neurobiologico e la trasformazione di sé è qualcosa di realmente concretizzabile e alla portata di tutti, se ci sono i presupposti di base che vedremo. 

Lavorare sullo sviluppo di sé in azienda è la frontiera della #formazione e oggi siamo in molti a sostenerlo, davanti ancora a numerose resistenze. 

Oggi le ricerche ci dicono che l’adulto può evolvere, che il nostro cervello è plastico, che le nuove sinapsi si creano continuamente, che le connessioni cerebrali sono in costante evoluzione e che il nostro “sé” è governato da queste connessioni così come lo sono le nostre azioni e i nostri comportamenti. La dinamica emozione-pensiero-azione si basa su queste connessioni e evolve nel tempo, se intenzionalmente ci si impegna nella sua cura. 

Con alcuni ingredienti di base in termini di cultura organizzativa

  • la conoscenza e la fiducia nel potenziale umano
  • la conosapevolezza che sarà un percorso complesso e sfidante 
  • il focus sui risultati a medio e lungo termine 

 voglio dare qualche input per sostenere questa idea.

Dal punto di vista delle #organizzazioni, permettere alle persone di crescere ed evolvere è un gesto di responsabilità e una grande opportunità per il sistema. Bisogna esserne coscienti e allineare la cultura aziendale a questa volontà. 

Una volta imboccata questa strada le persone vanno accompagnate e sostenute: gli interventi di sviluppo personale vanno progettati e definiti per evitare che le persone si trovino in difficoltà: il processo di crescita, dal punto di vista personale, è complesso e le persone avranno bisogno di sostegno, di competenza, di paziente determinazione da parte di tutti gli attori in gioco. 

Quali sono i passi per implementare un piano di sviluppo personale in azienda? 

  1. preparare il terreno: socializzare e comunicare valori e cultura aziendale a sostegno di questo progetto, far partecipare le persone stesse alla definizione del proprio piano di sviluppo, coinvolgere e ascoltare. 
  2. pianificare iniziative e percorsi: il #coaching è la chiave della crescita personale.  Non solo: #development center, team coaching, group coaching, momenti esperienziali, iniziative di “cross learning”, gestione di progetti, scambi internazionali dove possibile, #mentoring e laboratori. Il percorso va pianificato con sapienza e flessibilità. 
  3. monitorare il processo: incontrare le persone, organizzare momenti di #feedback, dar seguito ai meriti, ascoltare e sostenere nelle difficoltà
  4.  quando il potenziale sboccia è importante che le persone vengano gratificate. E’ importante che i protagonisti stessi definiscano i propri obiettivi e che, se concordati, possano avere seguito. 
  5. continuare a far evolvere il processo coinvolgendo le persone a tutti i livelli. Lo scopo non è arrivare a una meta predefinita, lo scopo è il viaggio. 

E per le persone quali sono le sfide? 

  1. attivare la volontà e il desiderio di evoluzione, sapendo che è possibile
  2. individuare e potenziare le risorse interne di cui si dispone, in primis il potere personale, che è quello che si esercita su di sé (e niente ha a che vedere con il potere comunemente inteso) e che consente di individuare in ogni circostanza cosa dipende dalle proprie azioni.
  3. riconoscere e abbandonare pensieri limitanti eiabitudini comportamentali disfunzionali 
  4. sperimentarsi intenzionalmente in nuove modalità di reazione e azione accogliendo i feedback 
  5. sviluppare resilienza, godere del percorso e dei piccoli passi avanti senza fermarsi davanti alle difficoltà

Lavorando su questi due ambiti, quello organizzativo e quello personale in sinergia e condivisione, troveremo un futuro in cui le organizzazioni e le persone, con impegno e determinazione, raggiungeranno la propria realizzazione, per poi evolvere ancora. 

Godiamoci il viaggio! 

In merito a questo argomento invito all’ascolto di questa interessante intervista. https://hfactorcommunity.com/ep-4-carlo-giardinetti-sullevoluzione-e-lapprendimento-nelle-organizzazioni-di-oggi-e-di-domani-parte-2/

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Trasformare sé stessi con il “growth mindset” e il “flexible thinking”

Per una cultura orientata all'evoluzione continua

Trasformare sé stessi con il “growth mindset” e il “flexible thinking”.

I mesi di #lockdown, che al momento sembrano un’esperienza lasciata alle spalle, hanno portato molti a grandi riflessioni, a cambiare le proprie abitudini, a modificare la nostra quotidianità, a rimpiangere “la normalità” o a volerla trasformare.

Nelle #aziende è successo di tutto: lavoro da remoto, sospensione delle attività, riduzione degli orari, riconversione, intensificazione di alcune attività, scomparsa di altre.

Qualunque sia la situazione che abbiano vissuto, oggi le #organizzazioni stanno ripartendo.

Le persone in molti casi sono state messe a dura prova; molti dichiarano però che, tutto sommato, il periodo passato abbia insegnato loro tante cose, una su tutte, di essere riusciti incredibilmente ad adattarsi.

Molta fatica iniziale, ma successivamente, piano piano, passo dopo passo i, il lavoro da remoto non è poi così male.

Di fatto è la parabola del cambiamento: semplificando – mi oppongo, resisto, ci provo a piccoli passi, mi accorgo che posso farcela e alla fine lo accetto. 

 Qui voglio sottolineare due elementi che sicuramente in questi passaggi sono di grande utilità e che sarebbe utile coltivare all’interno delle aziende e perchè no, nella vita in generale: quello che chiamiamo “growth mindset” e il “flexible thinking”.

Li metterei entrambi nella top list delle competenze chiave dell’essere umano del XXI secolo. Come Darwin ci insegna sopravvive chi è più “adatto”: adatto alla vita, alle condizioni del contesto e del #sistema in cui è immerso, con tutte le implicazioni del caso.

Se cambia un elemento del sistema, tutto il resto ha bisogno di riequilibrarsi e quindi cambiare a sua volta. 

Avere un #mindset orientato alla crescita significa trasformare qualsiasi momento in un’occasione di apprendimento: durante il lockdown abbiamo imparato a lavorare da casa, in solitudine, o condividendo lo spazio con altri familiari,  tutti i giorni  e da un giorno all’altro a comunicare a distanza, a partecipare o a gestire riunioni da remoto, a insegnare, a coinvolgere da una webcam. Prendere questa nuova condizione come una sfida, anziché un limite, avrà sicuramente aiutato a evolvere verso nuove #competenze, nuovi comportamenti, nuove soluzioni.

Quelle competenze ci serviranno ancora, anche quando questa esperienza sarà conclusa definitivamente.

Mi riferisco soprattutto alle competenze di tipo personale, come l’affrontare le difficoltà, darsi obiettivi, apprendere nuovi processi e nuovi strumenti, comunicare in condizioni complesse, ascoltare, osservare in modo diverso, affrontare l’ignoto, assumersi dei rischi, e tante altre.

Non importa se torneremo alle “vecchie” abitudini – in alcuni casi mi auguro di no – ma anche se così fosse il nostro cervello si sarà “mosso” in modo diverso, i nostri circuiti neuronali avranno creato nuove sinapsi, e di conseguenza nuove abitudini  si saranno consolidate.

Il growing mindset è questo: mantenere le nuove modalità acquisite e continuare ad affrontarne di nuove, accogliendo ogni momento come una possibilità di crescita. In qualche modo andare oltre il limite.

Nel libro “Mindset” Carol S. Dwek sostiene che possiamo sostituire l’espressione “ Non sono capace di…” con quella “Non sono ANCORA capace di…” Questa semplice parola apre alle nuove possibilità e alla sfida del cambiamento continuo. 

Competenza chiave di questo mindset è il “flexible thinking”. Diverso dal “positive thinking” che può trasformarci tutti in tante piccole “Pollyanna”, il flexible thinking è quel modo di vedere le cose elastico, plastico e adattabile.

E così l’espressione #andratuttobene diventa #andrabenesemiimpegno: se fisso degli obiettivi, valuto opzioni e possibilità a mente aperta, provo diverse strade, mi apro al cambiamento, scelgo quello che va meglio per me, se non funziona provo un’altra strada, se funziona imparo qualcosa di nuovo e la prossima volta sarò pronto, e così via. 

Joe Boaler, nel suo libro “Limitless Mind” descrive che “ogni volta che impariamo qualcosa, il nostro cervello forma, rafforza o connette nuovi percorsi neurali” e questo consente di evolvere. Non siamo inchiodati dai nostri limiti cognitivi, emotivi, sociali. Siamo in evoluzione e, se attiviamo la nostra spinta interiore alla crescita continua, anche se con fatica, faremo cose straordinariamente inaspettate.

Se ci fermiamo davanti alla fatica o agli iniziali insuccessi con frasi come “non ci riuscirò mai”, “sono fatto così”, “ non c’è speranza che cambi” difficile che questa spinta evolutiva faccia il suo corso.

Boaler sostiene che bisogna aver presente alcuni importanti concetti, oltre a quello già evidenziato che il cervello è in costante cambiamento: 

  1. è importante accettare che la fatica, gli errori e i fallimenti sono parte integrante della crescita,
  2. se cambiamo le nostre credenze sulla nostra mente, il cervello le seguirà. Qualsiasi convinzione su di sé che alimenti il limite, ostacola effettivamente l’azione e il cambiamento. Viceversa se la convinzione cambia (e sono io a cambiarla volontariamente) il cervello si predispone al cambiamento effettivo. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC2666386/
  3. bisogna sperimentare diverse modalità integrate per apprendere. Se una non funziona bisogna trovare una via diversa, provando. 
  4. non pretendere che il cambiamento arrivi in fretta; l’obiettivo è il pensiero flessibile, non il cambiamento in sé. 
  5. nell’apprendimento la collaborazione è fondamentale

Boaler parla prevalentemente di #apprendimento scolastico, ma gli stessi concetti ritengo che valgano nella vita da adulto, dove gli apprendimenti non sono più soltanto quelli di contenuto ma anche e soprattutto quelli personali, relazionali, sociali e emotivi.

Imparare a gestire l’ansia che scaturisce dall’incertezza, dall’isolamento, dal comunicare attraverso uno schermo è una competenza che resterà, che impareremo a usare anche in altre future situazioni, di qualsiasi natura siano.

Imparare a superare l’incertezza e l’ignoto ci servirà per affrontare le sfide future con maggior solidità.

Riuscire a vivere nel gruppo anche quando questo è a distanza, o riuscire a tenerlo unito saranno qualità importanti per qualsiasi evenienza e per continuare a crescere in un mondo aziendale in continua trasformazione.

E queste qualità, una volta acquisite, resteranno e potremo continuare ad alimentarle con in mente che sopravvive il più adatto, non il più forte.   

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Fiducia e capacità manageriali nel momento di crisi

Fiducia e capacità manageriali nel momento di crisi

Nessuno l’avrebbe mai pensato, ma ci ritroviamo nel 2020 reclusi, in allarme, indifesi, fragili e  spaventati. Le motivazioni ci sono tutte e, senza cadere nel catastrofismo, ci vorrà parecchio tempo per riprendersi dalla #crisi provocata dal #Covid-19. Crisi sanitaria, economica, sociale e anche esistenziale. Mattone dopo mattone dovremo ricostruire e ricostruirci, come persone e come società in tutte le sue componenti. 

Cosa fanno le #aziende davanti a questa situazione nei confronti dei propri collaboratori? 

Le aziende già abituate allo #smartworking hanno da subito attivato per molti questa opzione sin dai giorni dei primi contagi. Altre lo hanno fatto solo su alcune popolazioni aziendali; mano a mano che i dati rilevavano un costante incremento hanno proceduto ad avviare la modalità da remoto, anche senza accordi o particolari infrastrutture, . 

Questo passo non è scontato: molti lo vedono come l’unica concreta possibilità per continuare  a contribuire all’attività aziendale in sicurezza. Essere a proprio agio nel lavoro a distanza non è immediato e, proprio per questo,  abbiamo l’occasione per affrontare questo momento trasformandolo in opportunità di crescita. 

Istituire il lavoro a distanza da un lato, e usufruirne dall’altro, comporta un’assunzione di responsabilità molto importante, un patto di #fiducia e un grande senso di #partecipazione e  #commitment che prescindono dalla presenza costante di colleghi e responsabili. Tutto ciò può funzionare se esiste questo patto di fiducia, costruito nel tempo, nei contenuti e nella #relazione.

Come fanno imprenditori, manager e direttori a favorire questo patto? E trattandosi di una dimensione di reciprocità, come fanno i collaboratori a sentirsi “a bordo”? Come fanno tutti a sostenere l’ #engagement?

Mai come in questa situazione il senso di #appartenenza e l’allineamento ai #valori e alla #mission aziendali emergono prepotentemente. Da casa, mancando il contatto diretto, per aumentare il proprio senso di appartenenza c’è bisogno di partecipare, portare proattivamente idee e proposte; da casa, ancora di più, c’è bisogno di “stare connessi”, prendere iniziative, chiedere confronto, comunicare. Sentirsi parte di un qualcosa di più grande.

E il #manager, dal canto suo, avrà bisogno di coinvolgere: da un lato con strumenti concreti (call, riunioni virtuali, allineamento a distanza, file sharing), dall’altro imparando a “lasciar andare” il controllo, stabilendo dei momenti di allineamento esprimendo apertamente le aspettative e dando feedback chiari. In questo modo stimolerà nei collaboratori l’autonomia e il senso di responsabilità e svilupperà in sé la capacità di essere guida e punto di riferimento. Elementi necessari in generale e, in particolare, per questo momento.  Una grande occasione per costruire la #coesione, il senso di partecipazione e l’allineamento ai valori comuni.  

Certo, siamo abituati a costruire il team nel contatto diretto, vivendo e confrontandoci costantemente e, in questo caso, venendo a mancare proprio questo contatto siamo in assenza del collante principale.

E’ possibile andare oltre la presenza fisica e cogliere la sfida che ci troviamo davanti.  Lo si può fare organizzando momenti di confronto da remoto, facendosi sentire “vicino” al gruppo, mandando messaggi di presenza per stimolare la partecipazione e incoraggiare l’auto organizzazione. La tecnologia ci supporta, abbiamo tutti gli strumenti di cui necessitiamo per restare vicini anche nella lontananza. 

Un ultimo aspetto legato alla competenza personale è la #resilienza: lo smart working è generalmente organizzato a giornate alterne, quindi nella settimana ci sono sempre momenti in cui ci si reca in ufficio e si riprendono i contatti con i colleghi. In questa situazione l’ alternanza viene a mancare e quindi possono sopraggiungere noia, demotivazione, assenza di stimoli, anche distrazioni provenienti dalla vita di casa. In certe situazioni lavorare può risultare più difficile e l’assenza di contatti diretti può abbattere il morale e la capacità di #automotivarsi. Consideriamo anche le continue notizie poco confortanti che ascoltiamo dai notiziari e on line. L’atmosfera non aiuta a concentrarsi e gli #obiettivi aziendali possono diventare di più difficile comprensione o accettazione. E questo può accadere a ogni livello. 

La capacità di riprendere in mano la situazione, superare i momenti di sconforto, è determinante per rimanere focalizzati. Scegliere un’azione al giorno che sostenga la resilienza (un esercizio fisico o di distrazione mentale; una pratica di #mindfulness, una telefonata al collega, al responsabile, al mentor o al proprio coach, per esempio) è un gesto saggio, che non rappresenta una perdita di tempo, ma una scelta consapevole di qualcosa che sappiamo ci sostiene. E ammettiamolo, è una buona occasione per rafforzare i legami, piuttosto che allentarli nell’isolamento. 

In sintesi, supereremo questa sfida nelle nostre aziende se sapremo e vorremo sostenere il “TRUST”, (Paul J. Zak, Ph.D.,  Trust Factor: The Science of High-Performance Companies), quel patto che ci lega al gruppo, all’azienda, alle persone con cui condividiamo fatiche e soddisfazioni, obiettivi e risultati, sfide e opportunità. 

Gli argomenti per manager e #imprenditori ci sono: restare uniti, credere in una nuova ripresa, progettarla concretamente aprendo la mente a nuove prospettive; contare sulle proprie capacità e su quelle del gruppo, che è distante ma c’è e può uscirne ancora più forte.

Così trasformiamo questa esperienza in un’opportunità, in un momento di forte unione e solidarietà, di costruzione di una fiducia che poi lascerà il suo segno.

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Daniela Ferdeghini

PCC Coach - Trainer - Hr Consultant M. +39 347 5707022 | E. daniela.ferdeghini@verdemeta.it | Skype daniela.ferdeghini